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Eretto sul lato nord dell’antica piazza San Marco (ora piazza Verdi) sopra un terreno vulcanico di peperino, era costeggiato ad ovest dal torrente Urcionio, successivamente coperto da via Fratelli Rosselli. L’edificio in chiaro stile neoclassico, presenta un’ampia facciata scandita in due ordini, il dorico e lo ionico, con grandi finestre sormontate da un “attico”, e chiusa da un grande timpano.
TEATRO UNIONE
STORIA E DESCRIZIONE
Eretto sul lato nord dell’antica piazza San Marco (ora piazza Verdi) sopra un terreno vulcanico di peperino, era costeggiato ad ovest dal torrente Urcionio, successivamente coperto da via Fratelli Rosselli. L’edificio in chiaro stile neoclassico, presenta un’ampia facciata scandita in due ordini, il dorico e lo ionico, con grandi finestre sormontate da un “attico”, e chiusa da un grande timpano. La nascita del teatro fu legata alla volontà della Società dei Palchettisti, più tardi chiamata Società dell’Unione, formata da un gruppo di cittadini desiderosi di creare uno spazio teatrale in alternativa al già esistente Teatro del Genio, ridotto in pessime condizioni. I progetti presentati in un primo momento dall’ingegnere Federici e dall’architetto Bonagente non convinsero i membri della Società, si decise di dare vita ad un vero e proprio bando, in cui vennero inserite le misure da dover rispettare nell’ideazione del progetto. Vinse Virginio Vespignani, già artefice del Teatro civico di Orvieto. I lavori, iniziati nel novembre del 1846, terminarono solo nel 1855. Il 4 novembre dello stesso anno il teatro venne inaugurato con la rappresentazione del Rigoletto. Più tardi fu perfezionata l’illuminazione a cera della sala, sostituita nel 1855 da quella a gas, e completata la decorazione del soffitto e dei lacunari, grazie all’opera dei bolognesi Samoggia e Dal Pane, e degli stucchi affidati a Giuliano Corsini da Urbino. Il lampadario, su disegno dello stesso Vespignani, fu realizzato dalla fabbrica Boni e Guerrini di Ancona, con materiale importato da Parigi. Il teatri presenta una pianta rettangolare con sala semicircolare a ferro di cavallo, pareti ricurve e quattro ordini di palchi, il loggione, la galleria e il palcoscenico. Daniele Ferretti fu l’autore del meccanismo del palcoscenico, dotato di uno splendido sipario dipinto da Pietro Gagliardi con la raffigurazione di grandi poeti e musicisti italiani che ascendono al tempio della Gloria. Le sue proporzioni erano state studiate in funzione di opere liriche che prevedevano grandi scenografie, basti pensare che l’attuale uscita di sicurezza sul fondo del palco veniva utilizzata per introdurre carrozze e cavalli per particolari rappresentazioni. Danneggiato dai bombardamenti che colpirono la città nel 1943-44, l’edificio venne in seguito totalmente ceduto dalla Società dei Palchettisti all’Amministrazione Comunale. In un documento del 1950 l’ingegnere romano Domenico Smargiassi lodò l’architettura in muratura e non in legno del Vespignani, che aveva permesso così di salvarne la struttura. Ad oggi le uniche parti che si conservano della struttura originaria sono i palchi e parti della facciata.Il soffitto che oggi vediamo è opera del pittore viterbese Angelo Canevari, mentre a Felice ludovisi fu affidata la realizzazione delle tele del soffitto dell’atrio e della biglietteria. I medaglioni dell’atrio sono opera del pittore Badaloni. I meccanismi scenici riproducono fedelmente quelli originali. L’edificio ha una capienza di 660 posti, dei quali 270 in platea ed i restanti nei quattro ordini di palchi.