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CHIESA BASILICA SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLA QUERCIA
LA STORIA
La costruzione venne realizzata nelle sue strutture essenziali tra la fine del XV secolo e il primo trentennio del Cinquecento, al posto di una primitiva chiesetta campestre, poco più di una capanna di legno. L’erezione avvenne come atto di devozione dei Viterbesi all’immagine della Madonna col Bambino che nel 1417 tale Battista Juzzante fece dipingere su una tegola (un embrice romano) da Mastro Martello, detto il Monetto. Il devoto committente la incastonò tra i rami di una quercia a protezione del suo podere in contrada Mandriale (o Grazano) e ben presto il verde tabernacolo divenne un sicuro punto di riferimento per i viandanti diretti a Bagnaia e ai boschi del Cimino. Le cronache popolari, tramandate dallo storico viterbese Niccolò della Tuccia, testimone oculare della nascita della nuova devozione, elencano una serie di prodigi miracolosi legati alla sacra immagine, non ultimo quello di aver debellato la pestilenza che infestò le campagne viterbesi nell’estate del 1467 e un terremoto che colpì la città di Siena. Si narra che il 28 agosto di quell’anno una moltitudine di fedeli raggiunse in pellegrinaggio la quercia con la tegola per raccomandarsi alla Vergine. La peste “scacciata da una forza irresistibile fu improvvisamente domata”. Il 20 settembre, a pochi giorni dall’evento miracoloso, i Priori viterbesi accompagnati dalle varie corporazioni e da una folla di ogni ceto sociale, si recarono sul posto per il solenne ringraziamento nel corso di una Messa celebrata su un rustico altare all’ombra della quercia dal card. Pietro Gennari. Fu il sigillo di un “patto d’amore” tra i viterbesi e la Madonna che non si sarebbe più sciolto e che favorì la costruzione nel 1468 della chiesetta “con umile campanile, campana, cimitero, dormitorio, refettorio, orto e magazzini” – affidata ai Gesuati di San Giovanni Colombini di Siena – e, successivamente, del complesso monumentale che oggi ammiriamo, consegnato, con la bolla pontificia di Paolo II, ai Domenicani. La chiesa venne consacrata dal card. Giovan Francesco De Gambara, vescovo di Viterbo, l’8 aprile del 1578.
ESTERNO
L’elegante facciata di peperino a bugnato smussato, che si conclude in un timpano con due leoni ai lati di una quercia, è aperta da un oculo centrale (tra due piccoli laterali) e da tra portali, i cui stipiti sono decorati da candelabre all’antica, le lunette accolgono preziose terracotte invetriate di Andrea della Robbia (1503): a sinistra S. Pietro Martire e due angeli adoranti; al centro la Madonna col Bambino e i santi Domenico e Lorenzo; a destra S. Tommaso d’Aquino tra due angeli adoranti. Sopra la lunetta centrale è collocato lo stemma di Giulio II sotto il cui pontificato venne eretta la costruzione. La porta di mezzo, di quercia massiccia, venne rifatta nel 1620 ad opera di Giovanni di Bernardino da Viterbo e Domenico da Fiorenzuola (1506): notevole, in alto, la scena dell’Annunciazione. L’ampia scalinata è coronata da due colonne e due pilastri apprestati per la collocazione di scenografie mobili per le sacre rappresentazioni secondo la moda rinascimentale. L’imponente mole del campanile, a tre ordini, innalzato qualche anno più tardi da Ambrogio da Milano e terminato nel 1505, offre all’immagine-facciata una solenne imponenza; alla sua base sono incise bolle e brevi di alcuni pontefici (tra cui Clemente VIII e Paolo V) che hanno concesso privilegi e indulgenze al Santuario. La campana maggiore (Maria) venne rifusa nel 1578; quella minore (Agata) nel 1655. In alto, a destra della facciata, c’è la curiosità di un balconcino, la Loggia delle benedizioni, protetto da una ringhiera in ferro battuto (con colonnine a spirali, archetti acuti intramezzati da rosoni quadrobati), opera del fabbro viterbese mastro Vincenzo che la collocò nel novembre 1483.
INTERNO
L’arioso interno, rimaneggiato nei rifacimenti eseguiti tra il 1861 e il 1880, è articolato in tre navate divise da ampie arcate sostenute da due file di colonne, essenzialmente frutto dei progetti di Giuliano da Sangallo ispiratosi al S. Spirito brunelleschiano a Firenze. I pennacchi degli archi furono decorati da Cesare Nebbia nel 1601 con le immagini dei Dodici Apostoli. La navata centrale suddivisa in due ordini da un poderoso cornicione sostenuto da mensole, è coperta da un soffitto a 33 lacunari opera di Antonio da Sangallo il Giovane che lo realizzò tra il 1519 e il 1521; nel 1535 per volontà di papa Paolo III Farnese venne ricoperto con foglia d’oro (era l’oro proveniente dal nuovo mondo donatogli dall’imperatore di Spagna Carlo V). Il soffitto conserva l’immagine della Madonna della Quercia, lo stemma di Paolo III e il leone simbolo di Viterbo. Le navate laterali sono coperte da volte a vela sostenute da costoloni. Il pavimento originario dei lavori del Cinquecento fu realizzato dai maestri viterbesi Danese e Bernardino. Le pitture sul presbiterio e nella cupola sono state eseguite nel corso dei restauri del 1867 dai maestri Gavardini e Prosperi. Nella navata destra, sopra la bussola è posta una tela seicentesca con San Pietro Martire opera del maestro viterbese Anton Angelo Bonifazi. Sul primo altare (appartenuto alla famiglia Bussi) si trova la pala con l’immagine seicentesca di Raimondo de Peňafort, domenicano e protettore in Spagna degli avvocati e dell’Ordine per la redenzione degli schiavi. (1) La terracotta sopra il battistero è opera di Dino Massi (1970); più in alto è collocata una tavola del XVII sec. (attribuita al viterbese Filippo Caparozzi) con la Madonna e il Bambino. Il secondo altare s’adorna di una tela seicentesca con le Nozze mistiche di Santa Caterina, opera di Giovanni Ventura Borghesi (1698). Il Noli me tangere sopra il confessionale è del grande maestro domenicano fra’ Bartolomeo Della Porta (1512). Sul terzo altare è posto un San Vincenzo Ferreri del viterbese Giovanni Maria Mari (1724). Segue una tela di anonimo con la raffigurazione della Madonna e i sette santi fondatori dei Servi di Maria (XVIII secolo). Conclude la navata destra l’organo del ‘600, dono del card. Peretti da Montalto (ordinata a Domenico di Lorenzo da Lucca), nel 1848 è stato ricostruito dal celebre organaro Angelo Morettini e restaurato nel 1970 dai f.lli Rifatti di Padova, nel 1999 fu restaurato dalla ditta Marco Valentini (2). A fianco all’organo è posto il drappo di nave turca risalente alla battaglia di Civitavecchia (1695), dono del viterbese A. Domenico Bussi, cavaliere di Malta. Sopra il confessionale si intravede una lapide che ricorda la visita di Pio IX. Nel transetto di destra, una grande bacheca di vetro custodisce un pennone turco della battaglia di Lepanto donato da San Pio V nell’ottobre del 1571. In alto, sopra un’altra lapide marmorea in omaggio a Gregorio XIII, si scorge una bella tavola quattrocentesca di scuola senese con la Mater Divinae Gratiae. La tela sull’altare, alla destra del Maggiore, è una copia del San Michele Arcangelo di Guido Reni eseguita da Franco Picchioni. Dalla navata destra si accede alla sacrestia (arredata con armadi in noce del XVII sec.), decorata con pitture settecentesche, e al chiostro articolato su un doppio ordine in forme gotico-rinascimentali alla fine del XV secolo, tra il 1479 e il 1481, da Maestro Danese da Viterbo. Le lunette del portico affrescate nel XVII sec. illustrano alcuni miracoli della Madonna della Quercia. Un altro chiostro, detto Grande o della Fontana (rivolgersi al custode, ingresso da via del Popolo), realizzato tra il 1550 e il 1633, è decorato con alcune lunette affrescate sempre nel XVII sec. con miracoli della Madonna della Quercia. L’opera di maggiore prestigio è sicuramente il tempietto marmoreo nel presbiterio eseguito da Andrea Bregno nel 1490 (3); esso custodisce la quercia e la miracolosa immagine della Madonna col Bambino, dipinta su tegola nel 1417 da Mastro Martello detto il Monetto. La complessa macchina è suddivisa longitudinalmente da quattro lesene ornate da candelabre all’antica e orizzontalmente da cornici che definiscono tre diversi ordini: in basso compare una Natività, al centro, e due angeli adoranti nei riquadri laterali; nel centrale, dominato dalla nicchia centinata con angeli che racchiude l’immagine dell Vergine, sono realizzate le figure a rilievo entro nicchie dei santi Giovanni Battista, Lorenzo, Pietro e Paolo; l’ultimo è formato da una lunetta affiancata da torciere che sormonta un timpano, dovo sono rappresentati rispettivamente l’Eterno Benedicente e la colomba dello Spirito Santo. Le facce laterali del tempio furono dipinte intorno alla metà del Cinquecento dal maestro fiorentino Michele Tosini allievo del Ghirlandaio (da cui il suo soprannome) con le figure di San Tommaso d’Aquino e San Vincenzo Ferreri, a sinistra, San Domenico e San Pietro Martire, a destra. Sotto di esse si aprono le porticine, realizzate dall’artista viterbese Roberto Joppolo, che danno accesso alla quercia con la tegola miracolosa. Nella parete retrostante, tra Santa Caterina da Siena e S. Antonino, è riportato uno dei miracoli della Madonna: il Cavaliere reso invisibile per scampare agli assalitori che lo volevano morto. Alla base della parete sono collocati spezzoni di bombe lanciate sulla zona il 20 gennaio del 1944. Nella volta del Coro, retrostante il tempietto, è riportato un tondo con la Madonna della Quercia tra San Domenico e San Lorenzo eseguito agli inizi del Cinquecento da maestro Monaldo Trofi, detto il Truffetta, praticamente rifatto nell’Ottocento. Gli stalli in noce, degli inizi del XVI sec., sono opera degli artisti fiorentini Francesco di Domenico di Zanobio del Tasso e Giuliano di Giovanni detto il Pollastra; il grande leggio, di scuola viterbese (lavorato da Miliziano), risale al 1574. Il pregevole altare (4), adorno di stucchi e statue del tardo Cinquecento (opera di Pompeo Alberti), presenta una pala con l’Incoronazione della Vergine e santi di fra’ Bartolomeo della Porta e fra’ Paolino da Pistoia (1514-1534). Il giro della chiesa riprende dall’altare di sinistra dove è collocato un crocifisso ligneo del XVII secolo. Nel transetto, sopra la tela raffigurante San Pietro martire (attribuito a Pompeo Bartoni), si pongono all’attenzione le vetrate istoriate con alcuni santi che hanno visitato il Santuario. Sotto la vetrata una lapide ricorda il card. Giovan Francesco da Gambara, vescovo di Viterbo fino al 1576. Nella cappella del Sacro Cuore c’è la curiosità di un presepio permanente con manichini di artisti lucchesi e fiorentini del XVI-XVII secolo. (5) La tela alla destra dell’altare, proveniente dalle collezioni comunali, raffigura Pietro salvato dalle acque, quella alla sinistra, opera di Giacinto Brandi, (XVIII sec., presenta l’immagine dell’Ascensione. Sulla sinistra si conserva una seconda tela attribuita a Giovan Francesco Romanelli in cui è raffigurato il Padre Eterno. Proseguendo nella navata sinistra si possono vedere una tela con la Pentecoste (Francesco Castelli, 1589); una lapide (sopra il confessionale) a ricordo della cappella della Madonna della Pietà con un a tela del maestro viterbese Domenico Costa (1828) con San Domenico. Nella cappella in cui sono collocate una tela con la Madonna della Quercia e santi (attribuita a Paolino da Pistoia, XVI sec.) ed una della scuola di Sebastiano del Piombo (XVI sec.) con il Battesimo di Gesù Cristo, si apre il piccolo Antiquarium degli ex voto (6) (per la chiave rivolgersi al parroco) dove sono custodite duecentosei tavolette, dipinte tra il XV a il XVIII sec., con scene dei miracoli della Madonna della Quercia, queste costituiscono una delle più importanti raccolte di questa peculiare forma d’arte. Il museo, realizzato in una sala nota anticamente come Chiostro delle donne e successivamente utilizzata come ripostiglio, è stato voluto da mon. Sante Bagnaia e inaugurato nel 1978. Nelle vetrine si conservano paramenti sacri (piviali, pianete) di notevole valore, come il completo indossato da Gregorio XIII nel 1581; vasi sacri, calici; pissidi; ostensori; alcuni ex voto in argento; un busto quattrocentesco del Redentore di Matteo Cividale; tredici statue in bronzo eseguite da fonditori romani nel XVII sec. raffiguranti Cristo e i dodici Apostoli; corali del Cinquecento con delicate miniature. Sono andate distrutte le statue di cera, realizzate a partire dalla fine del 1468 fino al 1609, periodo in cui operò la Bottega della cera, sorta nei pressi della chiesa, dove erano fabbricati e venduti ai pellegrini gli ex-voto richiesti. In ricordo di tali opere si conservano oggi gli acquerelli del Panicale. Alle pareti sono sistemati due affreschi riportati su tela: quello raffigurante la Madonna col Bambino è attribuito a Carolino da Viterbo (XV sec.). Sull’altare in fondo alla navata si propone un’Adorazione dei Magi di Francesco Castelli (1598). La Decollazione del Battista, sulla controfacciata accanto alla bussola di sinistra, è di Pietro Vanni (1878). Ai lati dell’ingresso centrale sono poste due tele di scuola viterbese del XVII-XVIII sec. Raffiguranti una Madonna Addolorata e la Madonna del Carmine; tutta la parte centrale della controfaccita è occupata dal grande affresco di Angelo Pucciatti (1636) raffigurante Il miracolo del prete di Canepina (malgrado che i nemici gli avessero aperto il petto, riuscì con il cuore e le viscere sulle mani a raggiungere, dopo tre miglia, l’altare della Madonna della Quercia per celebrare la Messa). Le due pile dell’acqua santa posti in corrispondenza degli ingressi sono di Camillo da Cortona (1555). Le formelle della Via Crucis sono dell’artista viterbese Alberto Turchetti (1965).
BIBLIOGRAFIA
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