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Ubicazione:
Posto nel complesso monumentale di Santa Maria in della Verità il Museo civico di Viterbo trae le sue origini dall’esposizione di reperti etruschi iniziata nella città già a partire dal Quattrocento.
Orario: invernale 9:00-18:00; estivo 9:00-19:00;
Tel 0761.348275
MUSEO CIVICO
STORIA E DESCRIZIONE
Dopo il crollo di una parete pochi minuti prima dell’inaugurazione di una importante mostra, del 25 maggio del 2005, il Museo civico di Viterbo èra rimasto per anni chiuso al pubblico. Nel cedimento strutturale rimasero compromessi il tetto della Pinacoteca e il Chiostro. Seppur oggetto di diversi interventi di restauro effettuati dal Comune di Viterbo, il museo rimase da allora non agibile fino al giorno della riapertura avvenuta il 14 ottobre 2014 alla presenza autorevole di Sgarbi. Posto nel complesso monumentale di S. Maria in Gradi, il Museo civico di Viterbo trae le sue origini dall’esposizione di reperti etruschi iniziata nella città già a partire dal Quattrocento. Nel 1955 il chiostro e i locali dell’ex convento vennero destinati all’esposizione Museale, sviluppata su tre livelli seguendo un ordine cronologico, dai reperti dell’età del ferro ai documenti del XIX secolo esposti nell’ultimo piano. Al collezionismo è dedicata la sala accanto alla biglietteria, in cui sono custoditi i reperti raccolti già dallo studioso Giovanni Nanni, noto come Annio da Viterbo. Si conservano in questa stanza il cosiddetto Marmo osiriano, una lunetta medievale, risalente al XV secolo, sulla quale è scolpita una quercia avvinghiata da un vite; il Decreto di Desiderio, un falso attribuito allo stesso Annio, scolpito su una mezza ruota marmorea, in cui verrebbe resa nota la decisione del re di cingere con mura la città e di darle il nome di Viterbo. Il portico ospita oggi una serie di sarcofagi etruschi, dalla tipica figura giacente sul coperchio, collocabili in un arco cronologico compreso tra il IV e il II secolo a.C. e provenienti dai centri di Musarna, Cipollaretta, Norchia e Castel d’Asso: alcuni di essi conservano, oltre alle iscrizioni etrusche che identificano tanto il defunto quanto il periodo in cui furono realizzati, tracce dei colori rosso e bianco che coprivano l’intera figura. Nella prima sala, corrispondente al vecchio refettorio del convento, si conservano reperti prodotti tra l’età del ferro e il periodo etrusco. Spiccano due sarcofagi in terracotta ritrovati nei luoghi in cui sorgeva l’antica città di Surina, ed oggetti che restano come una chiara testimonianza della ricchezza dei centri etruschi che sorsero intorno a Viterbo. La seconda sala ospita la collezione del viterbese Luigi Rossi Danielli, donata dallo stesso al comune di Viterbo nel 1912: la maggior parte dei reperti fu rinvenuta durante gli scavi condotti tra Musarna, Ferento e San Giuliano e a cui partecipò in parte lo stesso Rossi Danielli. Si conservano oggetti prodotti tra l’età del Ferro e quella romana, dai vasi d’impasto villanoviani prodotti fino al VII secolo a.C. al vasellame di bucchero, produzione tipica del periodo etrusco sviluppatasi tra il VII e il V secolo a.C. La stessa sala ospita ceramica attica a figure nere e rosse, oggetti in bronzo e in oro e strumenti legati alla vita domestica, oltre ad unguentari e lucerne di epoca tarda. I reperti della terza sala provengono in gran parte dal sito di Musarna e risalgono ad un periodo compreso tra il IV e il I secolo a.C.. Tra gli oggetti si ricordano uno specchio in bronzo con manico d’osso e due coperchi di sarcofagi fittili provenienti da località Serpepe. Le ultime tre sale ospitano oggetti provenienti dalla città romana di Ferento, a cominciare dai reperti ritrovati nella tomba Salvi, come il calamaio e le semisfere di terracotta, per finire con marmi, statue e iscrizioni ritrovate all’interno della città durante gli scavi condotti dalla Società Pro Ferento. E’ nell’altina sala che si conserva un sarcofago del III secolo d.C. decorato da una scena di caccia e meglio noto come il sarcofago della Bella Galiana, una donna dalla straordinaria bellezza vissuta nel XII secolo. Il primo piano ospita la Pinacoteca, costituita già nel XIX secolo con le opere in essa confluite a seguito delle leggi per l’espropriazione dei beni ecclesiastici applicate a Viterbo tra il 1870 e il 1874. La prima sala ospita opere realizzate tra il XIII e il XIV secolo: si ricordano la Sfinge, realizzata nel 1296 da Pasquale Romano per la tomba di Pietro di Vico; un acquamanile in bronzo, sempre del XIII secolo; una tempera su tavola raffigurante la Madonna con Bambino ed angeli, esempio della produzione della scuola romana; e una Madonna con Bambino proveniente dalla chiesa degli Almadiani. Nell’ambiente seguente sono esposte due tavole di Sebastiano del Piombo, la Pietà eseguita per la chiesa di S. Francesco e la Flagellazione destinata all’altare di S. Maria del Paradiso, commissionate entrambe dal prelato viterbese Giovanni Botonti nei primi anni del XVI secolo. L’VIII sala ospita opere del XV e XVI secolo realizzate in parte da artisti viterbesi. Tra le opere di maggior pregio si ricordano il Presepe tra i Santi Giovanni Battista e Bartolomeo, commissionato ad Antonio del Massaro, detto Il Pastura, dai coniugi Guzzi nel 1488 e destinato alla cappella della famiglia in S. Maria della Verità; la Madonna in trono con Bambino, attribuita a Francesco d’Antonio, detto il Balletta; la tavola di S. Bernardino ed Angeli, del senese Sano di Pietro; e le sculture del fiorentino Andrea della Robbia, il busto di S. Giovanni Battista Almadiani e la lunetta con la Madonna con Bambino e gli angeli. L’ultimo ambiente del primo piano conserva dipinti databili tra il XVI e il XVIII secolo: spiccano l’Adorazione dei Re Magi, attribuita a Cesare Nebbia; le due opere di Aurelio Lomi, La morte di Maria e il S. Sebastiano, l’Incredulità di S. Tommaso, dipinta da Salvator Rosa per la chiesa dell’Orazione e Morte nel 1636-37; e una serie di altri dipinti, tra cui il S. Leonardo e i carcerati di Angelo Bonifazi e i Santi in adorazione della Sacra Famiglia di Antonio Ghepardi, che provano la forte supremazia artistica esercitata da Roma sulla città di Viterbo. Chiudono la produzione del XVII secolo le opere del maggiore fra i pittori viterbesi di questo periodo, Giova Francesco Romanelli, allievo di Pietro da Cortona: si conservano in questa sala il Riposo d’Egitto, l’Assunzione di Maria, l’Annunciazione e l’Ercole e Onfale, dipinte nel 1657. Del XVIII secolo ritroviamo tra le opere qui conservate, la tela Morte di Maria di Marco Benefial e il Sacrificio di Polissena di Domenico Corvi. L’ultimo piano è riservato alle arti applicate e a collezioni di interesse storico. Si ritrovano un raccolta numismatica, con monete coniate a Roma e ad Ancona; le copie degli affreschi perduti di Benozzo Gozzoli realizzati nella chiesa di S. Rosa; parte della collazione ceramica dell’Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo; e cinquantasei bozzetti della Macchina di S. Rosa. L’esposizione si chiude con la galleria dei ritratti, allestita nell’ultima sala.
BIBLIOGRAFIA
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