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PALAZZO BRUGIOTTI
LA STORIA
Nel 1625 il vetrallese Alessandro Brugiotti acquistò un palazzo in via Farnesiana, lo stesso appartenuto prima a Rosio Archilegi e in seguito alla famiglia Pico. Nel 1651 poi Pietro Brugiotti, figlio di Alessandro, acquistò anche il palazzo adiacente a quello che vent’anni prima aveva comperato suo padre dai cugini Carlo De Angeli, Felice e Monaldo Messini, che lo avevano ereditato dal nonno Cosimo Musacchi. Identificato con quello oggi al civico 67, l’acquisto del palazzo Musacchi e in quello stesso periodo della villa di Respoglio con il vasto podere circostante, poco lontana dal capoluogo in direzione di Bagnaia, sono l’attestazione della crescente affermazione dei Brugiotti a Viterbo. Nel 1647 Alessandro, figlio di Pietro, era finalmente riuscito ad ottenere la carica di conservatore del Comune e di conseguenza la sua famiglia entrava a far parte del patriziato cittadino, mentre un anno più tardi, riuscì a sposare, grazie alla mediazione del vescovo Brancaccio, Artemisia Mansanti, una ragazza di buona famiglia originaria di Tuscanica che portò con se una ricca dote. È probabilmente alla giovane coppia che Pietro, scaltro investitore immobiliare, nel 1651 cedette il suo vecchio palazzo per trasferirsi in quello appena acquistato, che sottopose a lavori di ristrutturazione, poi proseguiti, dopo la morte del padre (1658), da Alessandro. Negli anni successivi Pietro e i suoi discendenti continuarono ad acquistare altri siti e piccoli edifici nello stesso isolato. Ciò consentì loro, nella seconda metà del Settecento, di costruire una nuova ala del palazzo e di ampliare ed abbellire il giardino. Tra il 1766 e il 1778 il palazzo subì importanti interventi di ampliamento per iniziativa del conte Giuseppe, che aggiunse alla sua residenza un intero corpo di fabbrica tuttora perfettamente riconoscibile nell’edificio dalla facciata organizzata su due piani ed ingentilita da tre piccoli balconi in ferro battuto ai civici 3-7 di via Annio, ancora oggi collegato al palazzo. L’opera di ristrutturazione del palazzo proseguì con il figlio Alessandro, interessando soprattutto il giardino. Vicario vescovile, cavaliere di Malta, frequentatore del movimento culturale dell’Arcadia nonché accademico Ardente ed Aborigene, dunque molto probabilmente frequentatore del giardino romano dell’Accademia, è senz’altro pertinente con la sua formazione culturale il desiderio di realizzare un ampliamento ed una trasformazione del giardino del palazzo viterbese. Improntati a criteri di simmetria e regolarità il giardinetto e il giardino grande erano abbelliti con fontane peschiere e vasi di fiori. Di quello splendore attualmente rimane ben poco. Dopo la scomparsa del conte Alessandro, avvenuta nel 1795, ultimo erede diretto della famiglia Brugiotti, il palazzo passò a Filippo, primogenito di Vittoria Brugiotti e del conte Gaspare Carpegna. Dopo varie vicissitudini e rimaneggiamenti che hanno interessato il palazzo nel secolo appena trascorso che ne hanno alterato la suddivisone degli spazi interni, nel 1995 la Cassa di Risparmio di Viterbo ha acquistato un’importante porzione dell’edificio. Il pian terreno ospita oggi il Museo della Ceramica, mentre al piano nobile ha sede la Fondazione Carivit.
ESTERNO
Le complesse vicende costruttive del palazzo hanno lasciato traccia nelle porte, finestre, balaustre, che mostrano ascendenze cinquecentesche, di tipo sangallesco e vignolesco, come pure tardo cinquecentesche e pre-barocche. L’impianto a “L” dell’edificio, segnato nel suo cantone a bugne dagli stemmi del cardinale Farnese, del cardinale Scipione Cobelluzzi e della famiglia Brugiotti, è condizionato dalle due vie sulle quali si affaccia. Il prospetto del Palazzo prospiciente Via Cavour si presente diviso in tre ordini. In quello inferiore campeggia il grande portale di ingresso decentrato sulla destra e sormontato da un balconcino con balaustra in pietra. Ai lati si aprono alcune botteghe. Il secondo ordine della facciata coincide con il piano nobile del Palazzo. Le quattro finestre sormontate da altrettanti mezzanini si distinguono per gli architravi con cartigli in peperino, ad eccezione di quelli della porta-finestra, parte in peperino e parte in travertino, come il balcone e le mensole sottostanti. Le brevi frasi latine invitano il passante alla moderazione e alla prudenza. I fregi degli architravi delle finestre del piano nobile sono divisi in tre elementi: due dadi all’estremità, ornati al centro da un ovulo, con cinque dentelli triangolari nella parte inferiore e nel mezzo un cartiglio su cui è inciso un motto moraleggiante, decorato ai lati con due cordoni che sostengono un pennacchio. Sopra il fregio la cornice è interrotta da ampie volute che inquadrano l’arme dei Brugiotti: un montone con due stelle e tre sbarre. Più su il giglio farnesiano. L’ultimo ordine della facciata, più piccolo di quelli inferiori, è invece caratterizzato da quattro semplici finestre. Il prospetto del palazzo prospiciente Via Annio è simile nella struttura alla facciata principale, uniche differenze sono l’ingresso, questa volta decentrato sulla sinistra e fiancheggiato da quattro finestre su mensole e da una più piccola, l’assenza del balconcino, la disposizione e il numero di finestre dei piani superiori, sei per ciascuno. Infine va notato come gli stessi elementi araldici presenti nello stemma Musacchi – stelle, semisfere, comete – si ripetono agli angoli di alcune finestre, lungo i fronti del palazzo e nella corte al primo piano, nonché nel cornicione sommitale.
INTERNO
Vi si accede da un vestibolo (1) (unico esempio esistente nelle chiese viterbesi) ornato con marmi e stucchi; nel soffitto un piccolo dipinto raffigura San Michele Arcangelo.
Nell’incavo di destra (2) si scorgono due epigrafi in caratteri gotici, ritrovate durante la ricostruzione del 1746, che ricordano la presenza delle reliquie dei Santi Savino, Eugenio, Pietro Alessandrino, Vittore, Bonifacio e Corona, già nascoste dal priore Bartolomeo e ritrovate nel 1254. La chiesa, con soffitto a volte, è a croce latina con presbiterio a pianta quadrata e tre cappelle per ogni lato; cinque finestroni si aprono nella parte alta delle pareti e l’ingresso è sovrastato dalla cantoria. Nel disegno si mescolano linee tardo barocche e neoclassiche. L’abside è stata ricostruita, dopo essere stata colpita dai bombardamenti del 1944. La Via Crucis in olio su tela è del ’700.
Nella prima cappella di destra (3), in pietra a vista con una monofora residuo della primitiva costruzione, si trovano colonne di legno con capitelli e si conserva la statua in marmo del Sacro Cuore. Qui era conservata la Madonna col Bambino, realizzata nel ’400 da Andrea di Giovanni, ora in restauro, e che presto verrà collocata nella cappella feriale, ancora in allestimento (terza cappella a sinistra). Lungo la parete sinistra del pronao è conservata una tazza baccellata in marmo, risalente all’epoca romana, che oggi funge da fonte battesimale. Nella cappella successiva (4) una pala del viterbese Bartolomeo Cavarozzi raffigura S. Isidoro agricoltore (sec. XVII): la patina del tempo non consente di apprezzare a pieno il particolare del paesaggio sullo sfondo, in cui viene raffigurato l’Angelo che guida l’aratro. La terza cappella (5) è ornata da colonne, che sostengono semicuspidi, poste su basamenti in peperino con stemmi; sopra all’altare è un Crocifisso ligneo che, secondo la tradizione, fu portato via dalla città di Ferento distrutta dai Viterbesi nel 1172, ma che recenti studi datano con maggiore probabilità al 1300. Sulla destra, all’ingresso del presbiterio (6), è murata una bella lapide in caratteri gotici e romani: in essa viene celebrata la consacrazione della Chiesa da parte di Eugenio III (1145), con l’indicazione degli altari e delle reliquie che al tempo vi erano collocate.
La mensa dell’altare maggiore (7) è sorretta da un grande capitello romanico in pietra proveniente dall’antica chiesa; il tabernacolo marmoreo, posto su un capitello analogo al precendente, è sovrastato da un grande dipinto del viterbese Filippo Caparozzi (primo decennio del ’600) (8), raffigurante la Madonna in trono col Bambino: la Vergine, circondata da Angeli che la incoronano, è collocata su un alto basamento; sotto sono raffigurati S. Michele Arcangelo che calpesta Lucifero e, intorno, S. Pietro, S. Savino, S. Paolo e S. Eugenio. Nella sagrestia (9), a cui si accede dal transetto sinistro, un bell’arredo ligneo copre le pareti per un’altezza di circa 3 metri; in un altare, sempre in legno con colonne ioniche sostenenti frammenti angolari appartenuti ad un frontone, è inserito un S. Rocco realizzato da Antonio del Massaro detto il Pastura (sec. XV).
Nell’attiguo ufficio parrocchiale (10) del 1685 è un finestrone con bella mostra marmorea lavorata; alle pareti si possono ammirare: S. Liborio in gloria che ascende in cielo su una nube, quadro del viterbese Giovan Francesco Bonifazi (sec. XVII); S. Carlo Borromeo in estasi e S. Filippo Neri in preghiera, attribuiti entrambi al vigevanese Vincenzo Bareolo, che li dipinse nel 1614; un Crocifisso ligneo con dorature (1800) proveniente dalla chiesa di S. Giacomo. Nell’ultima cappella di sinistra (11), con l’immagine di S. Gabriele dell’Addolorata, una barocca mostra d’altare lignea (fine XVII-primi XVIII secolo) presenta colonne tortili ornate da tralci e grappoli e decorazioni in oro zecchino con due angeli dorati seduti sulle cuspidi.
BIBLIOGRAFIA
Palazzo Brugiotti in Viterbo , Edizioni Sette Città, Viterbo 2005.