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PALAZZO LOMELLINO DI ARAGONA-CARNEVALINI
LA STORIA
Il Palazzo Lomellino D’Aragona è un’interessante rappresentazione delle bellezze di recente scoperta a Viterbo. Il palazzo non risulta nominato da nessuna delle guide classiche forse perché della sua storia se ne sono perse le tracce. Si trova all’inizio di via Cardinale La Fontane. L’archivio di famiglia risulta perso e di recente una tesi della Facoltà di Beni Culturali della Dott. Trojer ha ricostruito le vicende storiche e ha cercato di attribuire gli affreschi esistenti all’interno. Il Committente più probabile risulta essere Plinio Caccia notaio di Orte residente a Viterbo dal 1584. Di Plinio Caccia possiamo leggere un libro di Rime. Dalle fonti d’Archivio risulta essere un personaggio poliedrico della Viterbo rinascimentale; detentore di varie cariche e onorificenze, è da riferirsi a lui la committenza della Sala Grande. Seguendo i movimenti economici della famiglia Caccia è possibile datare il primo intervento decorativo al 1595. Le successioni della Famiglia Caccia vedranno la comparsa dei Lomellino e nel 1808 Maria Anna Lomellino sposerà Alfonso di Carlo D’Aragona di Venafri (Capua). Da quella data il palazzo prenderà il nome dei Lomellino D’Aragona. Nel XIX secolo Giacomo D’Aragona sposa Caterina Gavotti, lo stemma è inserito nella decorazione della sala Grande. Presenta elementi dello stile architettonico Sangallesco: finestre squadrate a tutto sesto, le logge, le finestre cieche, la bicromia e le cornici marcapiano. La dott.sa Trojer attribuisce gli affreschi ad Antonio Tempesta. Oggi il palazzo è di proprietà della famiglia Carnevalini.
ESTERNO
Il Palazzo Lomellino D’Aragona presenta una facciata con portale d’ingresso con un’arcata a bugnato; sulla chiave di volta è appeso lo stemma della famiglia Lomellino. L’edificio è irregolare nella pianta e inglobato in una serie di altre costruzioni ed ha subito modifiche nel corso dei secoli. Composto da tre piani più la soffitta sotto al tetto spiovente, i piani sono separati da una banda orizzontale nel prospetto ovest e sud. Il pianterreno oggi è sfruttato da diversi locali commerciali. Otto finestre al piano nobile e altrettante al secondo piano danno origine al gioco chiaroscurale. Il lato ovest presenta al secondo livello, la porta del balcone tra due finestre. Corrispondentemente troviamo tre finestre più piccole al terzo livello, in più quattro aperture cieche. Il prospetto nord presenta due logge sovrapposte che guardano verso la chiesa di S. Maria Nuova, quell’inferiore oggi risulta chiusa da tre vetri. Diversi elementi dell’esterno dell’edificio fanno pensare al codice architettonico sangallesco, di cui troviamo anche altri lavori nella provincia viterbese.
INTERNO
All’interno il palazzo presenta l’organizzazione planimetrica invariata al primo piano mentre il secondo piano e il pianterreno sono stati modificati e ristrutturati. Il palazzo presenta diverse sale affrescate si piano nobile, la denominazione delle sale si basa sull’inventario del notaio Pietro Anselmi. Salendo le scale ed entrando a sinistra si arriva nella Sala Grande, affrescata con vari episodi della vita di Ercole, un tema caro alla storia di Viterbo che fa riferimento all’origine della città dal tempio che Ercole costruì nel punto dove oggi sorge il Duomo. Da qui si accede verso nord ad altri due ambienti decorati, la “stanza della Libreria” con fregi raffiguranti divinità romane e le storie di Giasone, l’impianto iconografico spiega la scelta degli episodi riguardanti Giasone infatti la sua vita presenta legami con la vita di Ercole, entrambi i viaggiatori lottano contro animali come il leone e il cinghiale; “la loggia” con fregi a grottesche con occupano l’intera parete. Dalla sala Grande verso est si accede alla “stanza del Cammino” senza fregi, probabilmente scomparsi. Verso ovest troviamo quattro stanze, la prima detta “dei Quadri” con prospettive di architetture e vedute di edifici monumentali, segue una stanza coperta da una volta con finti stucchi con dei putti e al centro una quadrato lobato con un paesaggio lacustre. Nel successivo ambiente troviamo al centro della volta un ottagono paesaggistico e finti elementi architettonici sugli strombi delle porte. Nell’ultima camera della parte ovest troviamo ancora il paesaggio centrale in più monocromi e putti entro racchiusi in tondi nella volta.
La sala principale è la sala Grande, si presenta con soffitto ligneo a travature dipinte molto danneggiato da infiltrazioni d’acqua. Le pareti sono divise in tre zone, in basso si trovano finte specchiature marmoree incorniciate in rosso e in blu, nella zona mediana ci sono i quadri riportati con le stoie di Ercole, la terza fascia è occupata al centro da uno stemma accompagnato da una coppia di putti stanti. Sulle pareti brevi sono rappresentate le Stagioni divise da colonnine e sulle pareti lunghe scene di caccia e di pesca. Al centro della parete lunga troviamo due delle virtù Cardinali, la Giustizia e la Fortezza, sedute ai lati dello stemma Lomellino.
Diversi sono a Viterbo gli spunti per le gesta di Ercole, fra questi un sarcofago romano custodito al Museo Civico di Velletri. Vengono rappresentate gli episodi salienti e tradizionali riguardanti l’iconografia erculeiana. Da rilevare una scena sulla parete corta fra le due finestre con l’eroe nella culla che strozza i serpenti inviati da Giunone, l’episodio potrebbe essere legato alla nascita del primogenito di Plinio Caccia, Lelio nato nel 1597. Sopra al centro del fregio troviamo lo stemma Franceschini. Per la Dott.sa Trojer gli affreschi presentano chiare derivazioni dalle incisioni del pittore Antonio Tempesta del 1555 custodite a Firenze. L’artista lavora a Viterbo nella sala Regia del palazzo di Caprarola a Bagnaia presso Villa Lante e a Bassano Romano nel Palazzo Giustiniani.
BIBLIOGRAFIA
U.TROJER, Affreschi inediti del Palazzo Lomellino D’Aragona, Tesi di laurea di Conservazione dei Beni Culturali, Università della Tuscia di Viterbo, AA 1998/99.