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CHIESA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA (DETTA IN ZOCCOLI)
LA STORIA
La chiesa recentemente intitolata a S. Giovanni Evangelista, è da tempi immemorabili conosciuta con il titolo di S. Giovanni in Zoccoli, o in Ciocola, denominazione di cui a tutt’oggi non è possibile dare una corretta e certa etimologia. S. Giovanni è una delle chiese romaniche viterbesi, la cui data di costruzione può essere stabilita con una certa approssimazione. Una notizia preziosa tramandata dal parroco Valentino Bagagli nel 1694 in occasione della commissione di una campana nuova per sostituirne una antica distrutta da un fulmine parla di una data incisa su quest’ultima con l’anno 1037, unitamente ad una lunga iscrizione in caratteri gotici con l’invocazione a Cristo alla Vergine e altri santi protettori trai quali compare S. Giuvanne. Non altrettanto attendibile è il riferimento a questa chiesa della pergamena dell’anno 823 del monastero del monte Amiata, che ricorda …iuxta castrum quod vocatur Viterbium, scilicet in Sunsa, ecclesia sancti Iohannis inibi constructa. La chiesa, così come si presenta attualmente è il frutto di fasi diverse comprese tra il XII e il XIII sec., quando fu aperto in facciata il magnifico rosone. In questi ultimi an-ni la chiesa è stata oggetto di un meticoloso intervento di restauro e consolidamento concluso nel 2013.
ESTERNO
La facciata è caratterizzata soprattutto dal rosone a doppia corolla di archetti e colonnine in travertino ai cui angoli spiccano in bassorilievo i simboli degli evangelisti (1). Il rosone è decorato con due aquile a tutto tondo. In facciata due archi di spinta a sesto ribassato che cavalcano la via a mo’ di contrafforti furono realizzati per la stabilità dell’edificio al momento del rifacimento della nuova facciata con l’apertura del rosone e molto rimaneggiati nei restauri ottocenteschi condotti dal Cavalcaselle. Nelle more di tali restauri fu completamente distrutto il portale eccetto una piccolo frammento con la decorazione a fioroni quadripetali che ha fatto da matrice per la realizzazione del nuovo così come oggi lo vediamo. Nella lunetta mani ignote hanno realizzato l’Evangelista nell’atto di seguire una visione dell’Apocalisse (XVI sec.?). Nei restauri del 1880 e nelle ristrutturazioni seguite agli ultimi bombardamenti aerei, la chiesa, liberata dalla canonica settecentesca che sorgeva sul lato destro, ha assunto l’aspetto definitivo che oggi ammiriamo. Scriverà un viaggiatore inglese dell’inizio del secolo: “…le pareti e il tetto a travi appaiono spogli e lugubri. L’unico elemento decorativo è costituito da alcune modanature che fungono da capitelli rudimentali. Ovunque qui si respira un clima di severità, di mortificazioni, di aspirazioni ultraterrene.”
INTERNO
A forma basilicale in puro stile romanico, con tetto a capriate, è diviso in tre navate (2) da pilastri circolari a blocchi sovrapposti, coronati da bassi capitelli a doppio toro rozzamente incisi con poveri rilievi decorativi, su cui poggiano archi a pieno centro con ghiera in ritiro; più larghi e più alti appaiono quelli a traverso del presbiterio sopraelevato. Percorrendo la navata destra, a metà altezza, risalta subito agli occhi la lastra di cristallo che lascia intravedere una delle tombe medievali scoperte sotto la pavimentazione in occasione degli ultimi restauri. Nel presbiterio, accanto all’absidiola della navata destra è collocato sul muro un pregevole polittico del 1441 del viterbese Francesco d’Antonio Zacchi detto il Balletta (3). Firma e data appaiono nel listello ai piedi della figura principale “Hoc opus fecit Franciscus Anthonii de Viterbio MCCCCXLI”. Nello scomparto centrale è raffigurata la Madonna in trono col Bambino tra S. Pietro, S. Giovanni Battista, S. Giovanni Evangelista e S. Paolo; nei pilastri laterali, a sinistra, dall’alto, l’angelo Annunziante, S. Francesco, S. Leonardo, e S. Lucia; a destra, la Madonna Annunziata, S. Antonio Abate, S. Elena e S. Caterina d’Alessandria. Nei tondini, al centro, la Trinità e, quindi, i Quattro Evangelisti. Le scene della predella propongono: S. Giorgio e il drago, Domiziano fa immergere S. Giovanni in una caldaia d’olio bollente, S. Giovanni resuscita Drusiana, S. Giovanni muta fuscelli e sassolini in oro e pietre preziose, S. Giovanni con le preghiere fa crollare il tempio di Diana, S. Giovanni beve il veleno che ha ucciso i condannati a morte e, nell’ultimo riquadro, l’Adorazione dei Magi. È interessante notare come la pietà popolare abbia incrudelito sugli aguzzini di s. Giovanni con numerosi colpi di punteruolo che hanno gravemente menomato le figure. Di fronte alle absidi laterali, sopra due piccoli altari ottenuti utilizzando materiale di risulta di un edificio più antico, sono collocate due moderne statue in gesso rispettivamente della Vergine con Bambino a destra e del Sacro Cuore a sinistra. Nell’abside centrale, una monofora è ornata con una moderna vetrata istoriata con l’immagine di S. Giovanni Evangelista. Sotto il tabernacolo si colloca uno scranno in peperino dalle forme arcaiche, proveniente, probabilmente, alla primitiva chiesa. Nella navata sinistra si apre la cappella cosiddetta della Madonna (4), qui raffigurata con il Bambino in un affresco staccato dal muro di una dimora viterbese e collocato in un polittico dorato (5); elegante il paliotto marmoreo settecentesco dell’altare. Il piccolo ambiente accoglie nella pavimentazione anche alcune lapidi funerarie di famiglie viterbesi e sulla parete destra un affresco “strappato” di epoca incerta (XV sec.) che fa pensare ad una immagine di S. Antonio Abate (6).
BIBLIOGRAFIA
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