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CHIESA DI SANTA MARIA DEL PARADISO
LA STORIA
La chiesa, posta all’esterno delle mura, sorge nell’area dell’antico vico Soffiano. Le prime notizie sul complesso monastico intitolato a S. Maria del Paradiso (appellativo congiunto inizialmente al nome della Vergine Santissima) risalgono al 1268, quando era officiata da un gruppo di monaci Cistercensi, in dipendenza della potente abbazia di Farfa. I Cistercensi, giunti dalla Francia sulla spinta di papa Innocenzo III (1198-1216), abbandonarono la chiesa nel 1276 e ad essi, per volere del cardinale Giovanni da Toledo, subentrarono le monache dello stesso Ordine, nato a Clairvaux dalla Riforma della Regola benedettina voluta da S. Bernardo. Dell’originaria fase duecentesca della chiesa del Paradiso rimangono labili tracce nella zona absidale, che ricorda quella dell’abbazia di San Martino. È stato ipotizzato tuttavia che neanche questa parte sia originale e che sia stata realizzata nel Quattrocento, in seguito al passaggio del convento ai Francescani. Gli elementi principali delle costruzioni monastiche cistercensi, tempio a croce latina, arco acuto, volte a botte archiacuta con membrature, volta a crociera costolonata, coro rettilineo fiancheggiato da cappelle radiali e chiostro, dovevano qualificare la primitiva chiesa del Paradiso, compreso il primitivo monastero costruito su pianta quadrata e coperto da volte a crociera, poi sostituite da volte a botte. Nel 1439 il complesso fu ceduto ai Frati Minori Francescani, divenendo da allora il centro più importante di irradiazione dell’apostolato francescano di tutta la zona, secondo una prerogativa che conservò anche dopo la separazione del ramo dell’Osservanza, quando cioè nel complesso rimasero i Conventuali. L’Ordine sopraggiunto, che rimase qui fino agli espropri post-unitari, operò molteplici restauri, producendo la quasi totale trasformazione della chiesa. Oltre alla costruzione di cappelle laterali, sul fianco destro furono eretti due altari, di cui uno nel 1525 fu arricchito dalla celebre Flagellazione di Sebastiano del Piombo.
Tra il 1726 e il 1729 fu fatto innalzare un nuovo campanile. Le due campane che fino al 1729 suonarono sul vecchio campanile che era del tipo a vela ed era posto in prossimità della nuova sagrestia, furono trasferite in quello nuovo. Ritenute insufficienti, nel 1748 con il contributo dei frati fu disposta la fusione di un’altra campana di media grandezza. Nel 1820 la chiesa venne riedificata praticamente ex novo, ma poi fu chiusa al culto il 18 luglio 1876. In totale stato di abbandono, nel febbraio del 1930 tutta la struttura venne trasformata in caserma. Le opere pittoriche vennero tutte trasferite al Museo Civico: la Flagellazione di Sebastiano del Piombo, un Rtratto di S. Bernardino da Siena di Sano di Pietro (1406-1481), la Sacra famiglia con San Carlo Borromeo e San Filippo Neri di Angelo Pucciati, già collocata sul primo altare di sinistra della chiesa, e l’affresco della lunetta sopra la porta di ingresso, opera di Antonio del Massaro.
Dopo le distruzioni a causa dei bombardamenti aerei del 1944 la chiesa è stata riaperta nel 1945 quando fu rifatto l’altare maggiore in marmo, mentre nel 1950 venne messo in opera il pavimento. Dal 1960 la chiesa è ritornata sede dei Frati Minori Osservanti di San Francesco e nel 1961 fu restaurata a cura dell’Ordine Francescano. Nel novembre del 1999 i pochi frati che abitavano il convento sono stati allontanati, oggi in parte divenuto sede della Facoltà di Economia dell’Università della Tuscia.
ESTERNO
La facciata è a doppio spiovente, con paramento di peperino a pietre irregolari. Al centro, nella parte alta, campeggia il grande rosone circolare, ornato da una doppia centina il cui motivo ornamentale è ripetuto sull’arco del portale a tutto sesto del portale, a cui si accede mediante un’ampia gradinata. Ricostruita nel dopoguerra (1959-1963), la facciata ripete fedelmente le linee di quella originale del XIII secolo. A sinistra del portone di ingresso la lapide dell’Ottocento ricorda il privilegio concesso all’altare del Crocifisso da papa Gregorio XIII nel 1583 di poter liberare un’anima del purgatorio. Il campanile, a sezione quadrata e con angoli smussati, presenta su ciascun lato una monofora, affiancata da lisce lesene su basi in peperino, collegate fra loro da una sottile cornice che si distende lungo tutto il perimetro del campanile. Le lesene sorreggono una finta trabeazione con cornicione mistilineo fortemente aggettante. Il campanile culmina con una cupoletta a mattoncini su tamburo poligonale con finestre rettangolari.
INTERNO
Un fregio liscio, sormontato da una cornice a dentelli corre lungo le pareti dell’unica navata della chiesa, separandole dalla volta a botte. Esso assume forma di architrave, sorretto da due coppie di colonne, in corrispondenza di ciascuno dei quattro altari laterali. Le pareti sono scandite da una Via Crucis in bronzo e peperino opera dello scultore senese Roberto Ioppolo, nato nel 1931, che l’ha eseguita nel 1982. Sull’altare immediatamente a destra dell’entrata, edicola processionale della fine del secolo XVIII inizio secolo XIX, con al centro il dipinto della Madonna del Paradiso, mentre immediatamente di fronte, sul lato opposto è collocato un confessionale. Sui due altari successivi, in prossimità del presbiterio, a destra è collocata la statua di San Francesco, a sinistra quella di San Giuseppe con Gesù Bambino. Sulla parete destra del presbiterio figura una lapide un tempo collocata presso l’altare del Crocifisso che riporta il testo della Bolla papale con la quale nel 1583 Gregorio XIII concesse il privilegio di poter liberare le anime dal purgatorio. L’altare maggiore in marmo, realizzato nel 1945, è sovrastato da un Crocifisso ligneo cinquecentesco. Nel 1950 è stato eseguito il pavimento e, davanti all’altare maggiore in ricordo è scritto Anno Santo 1950. Il catino dell’abside è stato decorato nel 1984 con un affresco di Antonio Cerica, ispiratosi al tema del perdono e della riconciliazione. Oltre l’abside attuale, tramite due piccoli ingressi laterali, si accede alla zona absidale gotica della chiesa. In passato punto di massima convergenza delle attività delle monache di clausura, l’antico coro poligonale conserva le esili colonnine in pietra a cui erano addossati gli stalli per le religiose e da cui dipartono i costoloni che convergono al centro del soffitto, esattamente nel punto in cui si apre un piccolo lucernario circolare. Un’acquasantiera marmorea, in origine posta nella chiesa di San Tommaso, è stata murata nella prima colonnina di destra, forse collocata nel 1511, contemporaneamente all’apertura del vano che dà accesso alla sacrestia, così come attesta la data incisa sull’architrave della porta: SACRISTIA MDXI. Le pareti sono scandite da una Via Crucis, a destra in prossimità dell’altare vi è una statuetta della Madonna, segue un rilievo, il Battesimo di Cristo, quindi un volto dipinto di Cristo, a sinistra un Crocifisso ligneo (tavola dipinta) e oltre una piccola statuetta di Gesù. Sulla parte opposta all’ingresso della sagrestia in una rientranza si scorge un piccolo altarino con immagine della Madonna del Rosario. Infine nella nicchia della parete di fondo è posta la statua di Sant’Antonio con il Bambino, mentre in alto campeggia un grande dipinto che raffigura l’Immacolata Concezione.
BIBLIOGRAFIA
P.G. Zucconi; S. Maria del Paradiso in Viterbo, Roma 1971.
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M. Galeotti; L’illustrissima Città di Viterbo, Edizioni Studio Pubblicitario Viterbese, Viterbo 2002, pp. 218-225.