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CHIESA DELLA VISITAZIONE (DETTA DELLA DUCHESSA)
LA STORIA
La presenza del ramo femminile dei Cistercensi a Viterbo risale al 1276, quando queste occupavano il convento di S. Maria del Paradiso. A distanza di quasi tre secoli le monache cistercensi furono trasferite nella nuova fondazione voluta dalla duchessa Girolama Orsini Farnese, duchessa di Parma, Piacenza e Castro, da cui la denominazione corrente con la quale la nuova fondazione era conosciuta: monastero di Maria SS. Della Visitazione detto “della Duchessa”. Gerolama moglie di Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III, dopo l’uccisione del marito ad opera dei congiurati a Piacenza nel 1547, si ritirò nelle terre del ducato di Castro, concependo l’idea di dar vita ad un centro monastico. A partire dal 1553 iniziò la realizzazione del cenobio, per il quale acquisì l’area dell’antico Palazzo del card. Raniero Capocci e numerose casette con annessi orti che si trovavano nei pressi dell’antica chiesa di S. Bartolomeo, che fu pure inclusa nel perimetro conventuale e che, in conseguenza di questo, perse il titolo di parrocchia. Il 1 gennaio 1557 la Duchessa, tramite il figlio card. Ranuccio Farnese, ottenne da Paolo IV un Breve che consentiva l’istituzione del Monastero, con affidamento in perpetuo del juspatronato ai duchi di Castro; vi fecero subito ingresso 25 converse provenienti dal territorio di Castro e per la conduzione, furono chiamate da Firenze le monache cistercensi che tuttora lo abitano. Qualche tempo dopo venne deciso l’abbattimento della vecchia chiesa di S. Bartolomeo e la costruzione di un nuovo tempio, la prima pietra fu posta il 28 luglio 1607, venne consacrata il 25 maggio 1614 dal Vescovo card. Tiberio Muti. Oltre all’altare principale, vi erano gli altari del Crocifisso, fatto costruire da Girolama Santacroce, dei Santi Benedetto e Bernardo, dei Santi Bartolomeo e Francesco, di S. Carlo. Il 26 maggio 1645 Innocenzo X concesse il privilegio all’altar maggiore e l’indulgenza per la festività della Visitazione, di S. Bartolomeo, di S. Benedetto, S. Bernardo e dei sette Altari, la medesima delle sette chiese di Roma e per l’ascensione della Scala Santa in ginocchio, tanto che per assolvere a tale devozione venne costruita un’apposita scala all’interno del Monastero. Una nuova consacrazione della chiesa avviene il 23 aprile 1729, ad opera del Vescovo Sermattei, al termine di notevoli lavori di restauro. Gregorio XVI il 4 ottobre 1841 fu accolto dalle monache cistercensi per una visita del Monastero che, dopo il 1870, rischiò di essere soppresso e trasformato in scuola. Invece la chiesa fu sottoposta a nuovi lavori di restauro, rifacimenti, dorature, pitture e rivestimenti in finto marmo; la nuova consacrazione venne officiata il 21 marzo 1873 dal Vescovo Luigi Serafini.
ESTERNO
Sulla facciata segnata da lesene in peperino e terminante a cuspide, è il cartiglio della dedicazione posto nella mensola tra motivi ornamentali; sopra, un semiarco in pietra e una finestra quadrata. In basso si apre il portale in peperino, ornato con fregi, testine di angeli e il simbolo dello Spirito santo. Sul fianco sinistro è ancora visibile un portale murato e quindi il campanile con originale disegno a colonne. Più oltre, nel muro, si distingue il rilievo di un ampio arco a tutto sesto sopra il quale si notano due eleganti bifore murate, resti dell’antico Palazzo Capocci.
INTERNO
L’edificio è a navata unica, al sommo della porta d’ingresso è murata una lapide che celebra la consacrazione della chiesa, avvenuta il 25 maggio 1614. Il primo altare di destra (1) è ornato con il quadro raffigurante il Martirio di San Bartolomeo, copia dal Guercino, eseguita nel 1774 da Annunziata Verchiani di Roma. Nel successivo (2) è posta una pregevole tela, opera del maestro viterbese Anton Angelo Falaschi, che raffigura la Madonna e il Bambino con San Benedetto e San Bernardo (XVIII secolo). Nel terzo altare (3), in una nicchia coperta da un drappo, è posto il simulacro con la reliquia del capo di San Crescenziano martire che, come ricorda la lapide, è stata lì collocata nel 1833. Due matronei si aprono nella parete che delimita il presbiterio; sotto quello di destra (4) si apre la Cappella di Donna Maria Benedetta Frey, detta la “Monaca Santa”, morta nel 1913 dopo 52 anni di malattia accettata con serena rassegnazione. Nel 1960 è stata effettuata la ricognizione del corpo ritrovato integro e incorrotto, grazie anche ai molti eventi miracolosi ad essa attribuiti è in corso il suo processo di beatificazione. Sull’altare era posta la miracolosa immagine del Santo Bambino, statuina in cera della fine del ‘700, di cui era particolarmente devota suor Maria Benedetta che l’aveva ricevuta in dono da due coniugi romani. La piccola immagine era stata rubata dalla loro casa per depredarla dei monili d’oro che l’ornavano ed era stata ritrovata dopo 16 anni sul tetto, dove era stata abbandonata dai ladri, senza aver subito alcun deterioramento nonostante fosse rimasta per tutto quel tempo esposta alle intemperie. Nell’absidiola quadrata con copertura a botte si aprono le grate che consentono alle monache di seguire le funzioni; sopra l’altare in un’alzata a forma di tempietto è posto un Crocifisso del XVII secolo (5). In alto sulla parete compare uno stemma dorato con le insegne araldiche dei Farnese e degli Orsini. Sulla parete sinistra, sull’altare più prossimo al presbiterio, è posta una tela con la Visitazione (XVII secolo) (6); nel successivo (7) una pala ottocentesca con la Sacra Famiglia e Angeli. Sopra all’ingresso (8) si colloca una cantoria lignea del ‘600, con decori e fregi dorati. Di notevole interesse il soffitto a cassettoni dipinto in rosso e azzurro, con dorature e stucchi (1672-73), opera del modenese Giovan Battista Magni, qui è inserita la tela con la Trinità con S. Bernardo e S. Benedetto di Anton Angelo Falaschi (XVIII secolo). Nel monastero (non è visitabile per il vincolo della clausura) sono altre opere di Falaschi, tra cui l’affresco con l’Ultima Cena nel refettorio e i quadri con S. Michele Arcangelo, S. Sabina, S. Lorenzo. Il chiostro, ornato da una piccola fontana a doppia vasca, presenta un originale disegno di slanciate colonne anteposte a pilastri quadrati; sopra alle volte corre una balconata di peperino.
IL RSTAURO
Nel corso del 2006 la chiesa è stata sottoposta a restauro. Il progetto, voluto dalla Curia Vescovile di Viterbo ed eseguito con la consulenza dell’arch. G. Fatica della Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio del Lazio, è stato diretto dall’arch. A. Lisoni in collaborazione con la ditta appaltatrice ATI Freda Francesco. L’opera ha visto una nuova tinteggiatura in travertino “onciato” delle paraste e delle colonne e in celestino grigio dei fondi delle pareti e delle vele. Il nuovo impianto di illuminazione dà maggiore risalto alle strutture architettoniche. Il vecchio pavimento è stato sostituito con pianelle di marmo di Carrara grigio e bianco ordite a rombi. Sono stati eseguiti lavori di spicconatura degli intonaci interni con posa in opera di nuovi intonaci deumidificati. Sono state allestite una scala in metallo per l’accesso alla cantoria e una nuova bussola a vetri, che favorisce la completa visione della chiesa dalla piazza antistante. Il portone d’ingresso è stato completamente restaurato e le porte laterali sono state sostituite da nuovi infissi.
BIBLIOGRAFIA
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