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CHIESA DI SAN FRANCESCO
LA STORIA
La costruzione iniziò nel 1237 su un’area dipendente dalla parrocchia di S. Angelo in Spatha, donata ai Francescani da Gregorio IX con bolla del 9 dicembre 1236, ove, agli inizi del millennio, era stato eretto il Castello di Sonza, piccolo fortilizio longobardo. Abbattuto il Castello nel 1208 venne lì edificato il Palazzo degli Alemanni per alloggiare le personalità tedesche che frequentavano Viterbo; ospitò anche i Pontefici che spesso si allontanavano da Roma. Il Palazzo venne successivamente incorporato nel complesso conventuale eretto a fianco della chiesa, questo dotato di cui chiostri fu sede dei Governatori del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia fino alla metà del XV secolo. Come sopra osservato la costruzione della chiesa rispecchia due diverse fasi seguite in breve lasso di tempo intorno alla metà del XIII secolo. Notevoli modifiche vennero effettuate con la successiva costruzione delle cappelle gentilizie delle famiglie Gatti, Bussi, Ceccolini, Botonti; sono citati vari lavori fatti eseguire dal rettore Niccolò Perotti e, documentati dalla Visita Pastorale del 1583 che certifica uno stato prossimo alla fatiscenza, vari interventi tesi a restituire decoro ad un edificio in grave stato di deperimento: il tetto era sconnesso e lasciava passare la luce, le pitture erano sconciamente scrostate, le finestre chiuse da panni di tela e le tombe prive di lapidi. Ma le manomissioni più pesanti (o i restauri più raffinati?) si registrarono prima nel 1603: in seguito a dei dissesti statici si operarono vari interventi di consolidamento, quindi a cura dei Botonti si procedette alla eliminazione del portico in facciata e all’inserimento di un nuovo portale monumentale; poi nel 1686 con una totale ristrutturazione della chiesa che comportò la chiusura delle cappelle sulla parete destra per recuperare la simmetria con la parete di fronte, quindi si procedette all’apertura di finestroni nella facciata, all’innalzamento delle pareti laterali con l’apertura di nuove finestre nella navata, all’apposizione di volte, stucchi e altri ornamenti barocchi. Il nuovo apparato barocco fu mantenuto fino ai bombardamenti del 1944. Nel 1873 il complesso chiesa-convento fu espropriato dal Demanio statale e solo nel 1886 il tempio, che era stato dichiarato monumento nazionale, venne riaperto al culto; i bombardamenti del 1944 colpirono la chiesa, danneggiandola gravemente e lasciandone in piedi soltanto i monconi dei muri perimetrali. La ricostruzione, completata nel 1953, ha corrisposto al gusto fortemente neo-medioevale imperante nella Viterbo del primo dopoguerra che ha comportato la cancellazione di una serie di pagine di storia, spesso di altissimo livello, con l’abbattimento delle sovrapposizioni barocche. Nel convento (attuale Caserma Bazzichelli, già sede del Distretto Militare) dimorò S. Bonaventura da Bagnoregio, Ministro Generale dell’Ordine, dottore serafico della chiesa. Vi furono ospitati 32 Papi e alcuni imperatori; qui il 3 luglio 1528 venne emanata da Clemente VII la Bolla di approvazione dell’Ordine dei Cappuccini. Vi si formarono il card. Marco da Viterbo e i Ministri Generali Vipera e Caratelli; fu sede fino al 1873 dell’Università Teologica Francescana. Nei locali di servizio della chiesa sono accolti la Biblioteca-Archivio Interconventuale con 35.000 volumi di varie epoche e 50.000 tra pergamene, rogiti, corrispondenze, contratti, ecc. e il Museo d’Arte contemporanea con opere di Greco, Mastroianni, Brindisi, Cesetti, De Chirico e altri.
ESTERNO
L’attuale edificio, gravemente danneggiato dai bombardamenti del gennaio e del maggio 1944, è frutto della ricostruzione seguita alla fine della guerra, conclusisi nel 1953. L’organismo architettonico che vediamo ancora oggi è il frutto di due fasi costruttive diverse: una prima chiesa francescana iniziata a costruire nel 1236 su un’area, seguita da un ampliamento successivo in pure forme gotiche di ascendenza oltremontana, realizzato a distanza di pochi decenni, quando Viterbo era sede della corte pontificia e il generalato francescano era nelle mani del viterbese Bonaventura da Bagnoregio (1254-1274). In mancanza dei disegni originari, la ricostruzione della facciata dopo i bombardamenti è stata effettuata utilizzando elementi di un antico portale del 1372, ritrovati sul lato esterno destro della chiesa, e ricreando una apertura ad arco in stile romanico con colonnine tortili; sopra è posta l’insegna celebrativa della concessione, da parte di Pio XII, del titolo di Basilica Minore (9 dicembre 1949). Completano la facciata tre monofore e un semplice oculo. In realtà la facciata originaria, precedente ai rifacimenti barocchi del XVII secolo, era preceduta da un atrio -ricordato anche in una Visita Pastorale del 1583- porticato e presentava notevoli pitture ad affresco. Sull’angolo destro è collocato un pulpito, eretto nel 1429 per celebrare la predicazione dei quaresimali del 1426 di S. Bernardino da Siena, in seguito ai quali furono applicati a Viterbo i rigidi principi del frate senese che comportarono la messa al bando degli eccessi di ricchezza e di ornamenti femminili, carte da gioco, libri di incantesimi, a venne abbattuto anche un lupanare; La presenza del Santo a Viterbo è ricordata dal simbolo del sole raggiante e da un’iscrizione nei riquadri del pulpito a pianta esagonale. Esso reca in caratteri gotici la seguente iscrizione: M.CCCCXXVIIII. DIE XXIII. IAN T(em)P(o)RE FR(at)RIS GUILELMI DE VENUSIO. Sovrastante il transetto destro è il campanile a vela con due fornici, la cui campana maggiore, datata 1259, fu realizzata da maestro Lotaringio Pisano.
INTERNO
La grandiosa navata unica è lunga circa 54 metri, quasi il doppio del transetto, per una larghezza di 11,44 metri; è chiusa da un’abside quadrata, nella quale si apre una grande quadrifora gotica con rosoni -in origine ornata da vetri istoriati-. Le capriate del tetto, rimesse in luce dai restauri seguiti ai bombardamenti che hanno eliminato le volte barocche, sono sostenute da archi-diaframma a sesto acuto; l’abside e il transetto sono coperte da volte ogivali profilate da costoloni che ricadono su pilastri compositi, decorati con motivi floreali di schietto stile gotico. Sulla destra dell’accesso alla chiesa è posta una acquasantiera (1) di peperino (sec. XV). Le pareti, nonostante i terribili danni seguiti ai due bombardamenti del 1944, ancora conservano notevoli monumenti e opere d’arte. Sulla parete destra compare un ex voto su tavola raffigurante S. Antonio da Padova e S. Rosa da Viterbo, al centro della composizione compare una veduta della città di Viterbo (2); l’opera fu commissionata nel 1572 ad un anonimo maestro francescano dal cappuccino Fra Marco da Viterbo, cappellano dell’armata cristiana a Lepanto. La pala è stata riprodotta in francobollo dal S.M.O.M. nIl quadro successivo (3) è una Pietà (1555) proveniente dalla soppressa chiesa di S. Giovanni degli Almadiani dipinta ad affresco da Tommaso Masini di Peretola detto Zoroastro. Subito dopo spicca (4) la struttura barocca, sovrastata dallo stemma nobiliare, che costituiva l’intelaiatura del portale d’accesso alla demolita cappella Bussi costruita nel XVII secolo. Sotto si conserva un ex voto (con?)…. a S. Antonio da Padova. Sulla parete di fronte, a sinistra della porticina d’ingresso al campanile, è un’epigrafe gotica già posta sulla tomba del card. Giordano Pironti, morto nel 1269, durante il lungo conclave viterbese che portò alla nomina di Gregorio X. La lapide a destra, sempre in caratteri gotici, ricorda il sepolcro del prelato francese Tommaso di Malines (diocesi di Cambrai), deceduto nel 1304. Nel transetto destro ancora si conservano i resti (5) del monumento funebre di Pietro di Vico, prefetto di Roma, realizzato in marmo da Pietro di Oderisio nel 1269; l’opera, raffinata creazione in stile gotico impreziosita da stemmi e mosaici, proviene dalla chiesa del soppresso monastero domenicano di S. Maria in Gradi, così come quello più famoso di papa Clemente IV. Un arco a sesto acuto, strombato e ornato da colonnine tortili immette (6) nella cappella del S.S. Sacramento, eretta dalla famiglia Gatti (il cui stemma si nota sopra al portale), potente famiglia di origine brettone secolare protagonista della vita civile e politica di Viterbo; è ai Gatti che si deve anche la costruzione del Palazzo dei papi. Al suo interno, un vano quadrato coperto a crociera con abside semicircolare, si conserva sotto l’altare la reliquia del capo di S. Elisabetta regina d’Ungheria, patrona del Terz’Ordine francescano secolare. I resti, custoditi precedentemente in un reliquario ligneo del 1583, tra il 1998 e il 2002 sono stati sottoposti a un restauro curato dall’Istituto antropologico dell’Università di Chieti con la collaborazione del Governo Ungherese. L’altare quattrocentesco proviene dalla cappella Sannelli, che si trovava sul lato sinistro del transetto, di questa rimane soltanto la mostra del portale addossata alla parete; essa attualmente forma la cornice per un Crocifisso (7) ligneo di scuola donatelliana (sec. XV). Sotto di esso sono state poste le reliquie di s. Venusta Martire e s. Speciosus Martire. Sull’angolo tra la cappella Gatti e il portale Sannelli è posto (8) l’Oliario (fine sec. XIII) firmato dai Vassalletto, il grande mosaicista romano di scuola cosmatesca. A fianco emerge in tutto il suo splendore (9) il Mausoleo di Adriano V, ricostruito nel 1949, attribuito ad Arnolfo di Cambio. Ottobono Fieschi, genovese, morì a Viterbo nel 1276 dopo soli 39 giorni di pontificato. Il monumento gotico-cosmatesco, autentico gioiello d’arte medievale, è costituito da un padiglione a due spioventi, sorretto da colonnine, di cui quelle anteriori a chiocciola sono abbellite da mosaici; la statua coricata, vestita con abiti pontificali è posta su un duplice basamento intarsiato con splendidi marmi policromi. A destra è murata la lapide in caratteri gotici, con tre stemmi dei Fieschi, che si trovava sulla tomba del card. Ugo di Tedisio Fieschi, fratello di Adriano V, morto nel 1270. Posto in simmetria, all’inizio del transetto sinistro, si trova (10) il Mausoleo di Clemente IV, opera di Pietro Oderisio (1270). Avvocato, pervenuto al sacerdozio dopo essere rimasto vedovo, il provenzale Guido Le Gros fu Arcivescovo di Narbonne e salì al soglio pontificio il 7 febbraio 1265; si stabilì a Viterbo il 24 aprile 1266 e vi morì il 29 novembre 1268. Aveva pronunciato la scomunica per Corradino di Svevia per il quale, tuttavia, nutrì profonda pietà; in S. Maria in Gradi il 26 marzo 1267 canonizzò S. Edvige, duchessa di Polonia. Un tabernacolo in stile gotico racchiude la statua distesa, posta su un sarcofago romano con bassorilievo a scanalature collocato su un basamento marmoreo decorato con intarsi di suggestiva policromia. Nella sepoltura, aperta nel 1885, furono rinvenuti numerosi oggetti, tra cui la Mitra, il Pettorale con scene della vita di Cristo, calzari, fimbrie del camice, borchie smaltate dei guanti, l’anello con filigrana e il sigillo pontificio con i fiordalisi di Francia. Ai piedi del Mausoleo si trova il sepolcro con la statua di Pietro Le Gros, nipote di Clemente IV, divenuto Vescovo dopo la morte dello zio. Nella parete di fondo del presbiterio si apre (11) una imponente quadrifora, istoriata da Laura Giuliani Redini (1951) che vi ha raffigurato l’Albero Francescano e i suoi frutti spirituali: i primi compagni di S. Francesco, Fra’ Leone e Fra’ Soldanerio, viterbesi entrambi, S. Rosa da Viterbo e San Bonaventura da Bagnoregio. A destra è un affresco (12) protetto da un’edicola, raffigurante l’Agnus Dei e sulla parete opposta resti di affreschi quattrocenteschi. La statua lignea di S. Francesco è stata realizzata nel 1960 dall’ungherese G. Tommasi. Sullo stesso lato, è posto un crocifisso (XVIII sec.) portato nella chiesa da Padre Felice Rossetti e precedentemente conservato nella pinacoteca. Nel transetto sinistro, dopo il mausoleo di Clemente IV, si nota (13) il portale d’accesso alla cappella Botonti (sec. XVI) attuale Sagrestia, per la quale era stata dipinta tra il 1515 e il 1516 la celebre Pietà di Sebastiano Del Piombo, attualmente al Museo Civico. A sinistra, in alto, è la lapide celebrativa del Capitolo generale tenuto in S. Francesco nel 1596, presenti 1500 rappresentanti di tutte le Provincia dell’Ordine. Un sarcofago in peperino (14) sovrastato da un’edicola ad archi e rosoni gotici costituisce la sepoltura del card. Gerardo Landriani de’ Capitani, porporato milanese la cui figura è scolpita sul sarcofago, questi era improvvisamente deceduto l’8 ottobre 1445 mentre era di passaggio per Viterbo. Da un arco a tutto sesto strombato con colonnine tortili (immetteva una volta nella Cappella Ceccolini già costruita nel 1439 e dedicata a S. Maria degli Angeli) si accede alla casa parrocchiale (15), ove sono collocate biblioteca e pinacoteca; vi è pure custodito un Ecce Homo in legno scuro (XVIII secolo). La nascita della pinacoteca fu fortemente voluta da padre Felice Rossetti che negli anni è riuscito a riunire una serie di opere realizzate da alcuni degli esponenti di spicco della nostra arte contemporanea, quali Greco, Mastroianni, De Chirico, Brindisi e Cedetti. Su un coperchio di sarcofago posto sulla parete seguente è raffigurata in bassorilievo (16) una nobildonna in veste di terziaria francescana; a fianco (17) è la statua funeraria del card. Vicedomino Vicedomini, definito “Papa per un giorno”, perché sarebbe deceduto il 5 settembre 1276, giorno successivo alla sua elezione a Pontefice con il nome di Gregorio XI, senza aver ricevuto la consacrazione. Tornando nella navata si rinvengono (18) gli avanzi con la statua giacente, recuperati tra le macerie delle incursioni aeree, dell’imponente mausoleo del card. Marco da Viterbo, ventiduesimo Ministro Generale dell’Ordine, morto di peste a Viterbo il 3 settembre 1369. Ancora meno è stato possibile recuperare del monumento funebre Bussi (19), che si trovava nella cappella di famiglia già citata: il busto di una nobildonna della famiglia e alcuni stemmi. Si notano, quindi, il fonte battesimale in peperino (20) e un dipinto (21) raffigurante la Vergine che sostiene il Bambino in piedi tra S. Giovanni Battista, S. Pietro e s. Quirico, opera documentata del celebre maestro corso Monaldo Trofi detto “Il Truffetta”. La chiesa primitiva di S. Francesco era completamente ricoperta di affreschi realizzati entro la prima metà del XIV secolo, tale osservazione rende evidente come il S. Francesco di Viterbo fosse molto vicina al modello assisiate di cui ripete anche molti elementi architettonici e decorativi.
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