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CHIESA DI SAN MARCO
LA STORIA
Nel nome del Signore, amen. Questa chiesa fu consacrata nell’anno 1198 dal santissimo signore Innocenzo papa III, il primo giorno di dicembre. Con lui officiarono quindici cardinali ed il papa in persona stabilì l’indulgenza detta chiesa per tre occasioni dell’anno, e cioè nella riferita Consacrazione, nel giorno dedicato a San Benedetto abate e nel giorno consacrato a San Marco Evangelista, titolare della chiesa, e nell’ottavo giorno immediatamente seguente a festività stesse: cento anni e ancora quaranta giorni, secondo la volontà e l’invenzione del Sommo Pontefice, che formano un totale di anni venti e venti volte quaranta giorni nei singoli giorni dell’ottava delle stesse festività. Quest’opera fu portata a compimento al tempo del venerabile padre Rollando, abate di San Salvatore del monte Amiata, e della prepositura di ser Giacomo di Nicola Mosti di Viterbo. La strutturazione architettonica della chiesa di S. Marco corrisponde a quella di un semplice edificio rurale, funzionale alle quotidiane celebrazioni di una comunità di contadini che operavano sulle terre amministrate dai benedettini, prima, dai cistercensi, poi, dell’abbazia amiatina di S. Salvatore (appartenente fino alla metà del secolo XVII al Monastero insieme con le chiese di San Giovanni in Sonsa e di Santa Maria Maddalena). La lapide, posta sulla facciata alla destra del portale (e ritrascritta all’interno presso l’ingresso), racchiude in sintesi la storia di questa antica chiesetta che, seppur di piccole dimensioni, vanta il privilegio di essere stata consacrata personalmente da un pontefice. Non è escluso che l’epigrafe in peperino sia rimasta in situ fin dall’origine. Siamo in una delle contrade più antiche della città, detta Pian di san Marco, che intorno all’XI secolo si estendeva, fuori dalla prima cinta di mura, fino al colle di San Francesco: l’attraversava il fiumiciattolo di Sonsa, o Urcionio, oggi completamente coperto. I rapporti tra i frati amiatini, i consoli e il clero secolare del Comune furono sempre molto problematici, specie per la rivendicazione dei diritti enfiteutici e dei cosiddetti diritti di stola (funerali, nozze, …). Ma una posizione di grande autorevolezza fu conquistata dagli abati amiatini, a partire dal cistercense Rolando, grazie a papa Innocenzo III che da Viterbo -al quale il papa confermava la sua amicizia e predilizione- allacciava concrete relazioni con i potenti abati di S. Salvatore per favorire l’ambizioso progetto di instaurare il suo governo temporale su tutti gli immensi possedimenti della contessa Matilde di Canossa donati alla Chiesa. Il clero viterbese fu legittimamente chiamato ad amministrare l’antica parrocchia solo nel 1782, quando il granduca Leopoldo II soppresse l’abbazia amiatina. Le offese della guerra che devastarono terribilmente l’intero quartiere dove sorge S. Marco furono modeste con la chiesa che ebbe leggermente danneggiato solo il tetto, però andarono disperse quattro pale d’altare che ornavano le pareti: la Morte di s. Alessio, posta nel 1727 sull’altare del santo in cornu Epistolae, la tela dipinta nel 1850 dal pittore viterbese Domenico Costa raffigurante la Madonna che mostra il cuore trafitto, e le due raffiguranti il Salvatore e s. Omobono (protettore dei sarti) provenienti dal soppresso oratorio dell’Arte dei Sarti sito nella prossima piazzetta dell’Oca. La chiesa di S. Marco, edificata sullo scorcio del XII secolo dai monaci benedettini di S. Salvatore al Monte Amiata, proprietari del sito, conserva ancora il suo suggestivo aspetto medievale nella semplicità di un piccolo edificio rurale a navata unica.
ESTERNO
Sulla facciata una epigrafe incisa su una lastra di peperino in bellissimi caratteri in onciale gotica celebra la consacrazione della chiesa avvenuta nel 1198, proprio quando papa Innocenzo III stava mettendo in atto il disegno della riconquista delle terre del Patrimonio di S. Pietro -tentativo eseguito anche tramite la conferma di Viterbo a sede di diocesi-. L’accesso alla chiesa avviene tramite un unico portale, salendo una alta scalata che in origine la proteggeva dalle piene del vicinissimo torrente Urcionio.
INTERNO
Nonostante le ingiurie del tempo all’interno della chiesa ancora si conservano alcuni pregevoli episodi artistici: sulla parete sinistra vi sono i resti di un affresco raffigurante la Madonna in trono col Bambino con angeli, la modesta opera attribuita alla scuola di Antonio del Massaro detto il Pastura (XV sec.), risponde in realtà ai modi portati nell’ambiente viterbese da maestri senesi. Di maggiore qualità gli affreschi raffiguranti l’Eterno benedicente tra SS. Pietro e Paolo (1), eseguiti nel catino absidale agli inizi del Cinquecento dal notevole maestro viterbese Giovan Francesco d’Avanzarano detto Il Fantastico. Sua anche la pala (2) sull’altare, ultimata il 15 aprile del 1512, secondo la data che appare sulla base, raffigura la Madonna in trono tra San Marco e San Bernardo Abate, sui montanti della complessa macchina compaiono le figure dei santi Pietro, Giovanni Battista, Maria Maddalena, Paolo, Alberto, Elena; mentre nella predella sono rappresentate quattro episodi della vita di San Marco; da sinistra: San Pietro approva gli scritti di San Marco; predica di San Marco; la cattura e il martirio del Santo. La pala fu commissionata il 20 febbraio 1511 da Marco Anselmo Falloni e Bernardino Tornari, santesi della chiesa. Da notare nella parete absidale di destra, sotto uno dei due tabernacoli di pietra, lo schizzo a carboncino (protetto da un vetro) di una testa femminile, opera dello stesso Giovan Francesco che conferma nella spigliata freschezza del disegno le sue doti notevoli che lo avevano portato ad operare insieme ai giovani Raffello e Luca Signorelli in Palazzo Bufalini a città di castello. D’Avanzarano, insieme al Truffetta e a Costantino Zelli, appartiene alla schiera degli artisti di scuola viterbesi che dalla metà del Quattrocento hanno avuto esiti ragguardevoli nella pittura unitamente a maestri quali Lorenzo da Viterbo, Francesco d’Antonio detto “Il Balletta” e Antonio del Massaro detto “il Pastura”. Proprio il Balletta è autore della tavola raffigurante San Marco che si ammirava sul piccolo altare di sinistra e che ora è prudentemente custodita nell’adiacente canonica.
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