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CHIESA DI SAN SILVESTRO (DETTA DEL GESU)
LA STORIA
Fu eretta a capo della piazza del Mercato, per secoli il centro della vita civica e sociale di Viterbo, ed è citata in documenti pubblici fin dal 1080. Nel XIII secolo, in seguito al cruento omicidio di Enrico di Cornovaglia, la chiesa conosce una fase di decadenza, rimane una parrocchia di secondaria importanza, stretta com’era tra la cattedrale di S. Lorenzo e la collegiata di S. Maria Nuova.
Nel 1345 si era addirittura perduta la cognizione della sepoltura del corpo di S. Gemini, qua condotto da Ferento dopo la distruzione di quella città. Nel 1416 gli Ortolani la sceglieranno come residenza della loro Arte e la terranno, con brevi interruzioni, fino al 1642. Infatti per appena un anno fu officiata nel 1622 dai padri Gesuiti, chiamati in Viterbo dal card. Scipione Cobelluzzi; dal 1630 per circa dieci anni fu sede dei Carmelitani scalzi, che si trasferirono poi nel nuovo, magnifico convento dei SS. Giuseppe e Teresa in piazza Fontana Grande. Nel 1643 il vescovo Francesco Maria Brancaccio dava S. Silvestro alla confraternità del Santissimo Nome di Gesù, fondata nel 1540 col fine di assistere gli infermi dell’ospedale e gestire in proprio la sezione riservata ai convalescenti. Suo simbolo era il monogramma di S. Bernardino, simile a quello poi adottato da S. Ignazio per i suoi Gesuiti: è infatti della Confraternita l’emblema posto sulla porta principale della chiesa, al sommo dei tre monti che caratterizzavano l’ospedale del Comune e quello annesso dei convalescenti, con sotto la data 1749. Dalla fine del Settecento al 1825 i frati della Penitenza presero stanza nel vicino ex palazzo Di Vico e per i servizi religiosi si servirono di S. Silvestro, ormai chiamata dai Viterbesi Chiesa del Gesù; dal 1826 agli anni Settanta del secolo XX la Società ha officiato da sola il tempio, fino alla morte degli ultimi confratelli; furono i confratelli della Penitenza che curarono il restauro fatto nel 1917 a spese dello Stato. Il successivo stato di abbandono portarono ad una complessiva situazione di fatiscenza anche con dei crolli nel 1971, seguì un intervento di restauro nel 1987 eseguito a cura della Soprintendenza con il contributo della Cassa di Risparmio di Viterbo. Attualmente la chiesa è assegnata ai Cavalieri ed alle Dame dell’Ordine equestre del S. Sepolcro, residenti in Viterbo. Questo modesto edificio romanico è passato alla storia europea per il grave delitto del 13 marzo 1271. Si trovavano in quei giorni a Viterbo Carlo I d’Angiò, re di Sicilia, e Filippo III, re di Francia, per sollecitare la conclusione del conclave, che si protraeva da anni, ed alla corte del primo sovrano era Enrico di Cornovaglia, cugino di re Edoardo I d’Inghilterra; giunsero in città anche Guido e Simone di Montfort, figli del conte di Leichester, che nel 1265 aveva capeggiato una rivolta di Baroni, conclusasi sanguinosamente nella battaglia di Eversham; Edoardo d’Inghilterra fece uccidere il Leichester che si era arreso e il corpo del ribelle venne straziato e oltraggiato. L’occasione apparve subito propizia ai due Montfort per vendicare il padre e le sfortune della famiglia: colsero di sorpresa Enrico di Cornovaglia, che si era recato ad assistere alla messa nella chiesa di S. Silvestro e lo trucidarono nonostante avesse cercato scampo ai piedi dell’altare del celebrante; uccisero pure un chierico che aveva cercato di interporsi e un altro ne ferirono mortalmente. Il cuore del principe fu poi portato a Londra e collocato nell’Abbazia di Westminster (una seconda versione narra che fu portato l’intero corpo, dopo essere stato lessato con erbe aromatiche per farlo mantenere durante il viaggio!). La vicenda suscitò grande clamore ed esecrazione, ma approfittando dei tentennamenti di coloro che avrebbero dovuto intervenire, i Montfort riuscirono a scamparla, almeno temporaneamente. Infatti il pontefice Gregorio X eletto in quel conclave viterbese, il 1° marzo 1273 condannò Guido privandolo dei titoli nobiliari e dei beni; reintegrato da Martino IV nel 1283, fu preso prigioniero dagli angioini nella battaglia navale di Napoli del 1287 e lasciato morire nel carcere di Messina. L’Alighieri si rese interprete dell’universale orrore e nel XII canto dell’Inferno pose Guido di Montfort nel cerchio dei violenti contro il prossimo, immerso nel sangue bollente: “Mostrocci un’ombra dall’un canto sola, -Dicendo: Colui fesse in grembo a Dio – Lo cor che in sul Tamigi ancor si cola”.
ESTERNO
La facciata richiama lo stile di altre chiese romaniche viterbesi ed è caratterizzata dal campanile a vela che sovrasta il culmine; il portale architravato è sormontato da una lunetta in cui è posto un affresco con la Madonna con il Bambino tra due santi. Al di sopra è il simbolo della Confraternita datato 1749 e una monofora a pieno centro, riaperta nei restauri eseguiti tra il 1911 e il 1919; in tale occasione venne ripristinato il tetto a capriate nonché rimosso dall’interno tutto quello che non corrispondeva alla purezza neo-medioevale, compreso un altare ligneo che obliterava le pitture dell’abside restaurate proprio in tale occasione. Nel campanile con tre campane sono inseriti fregi marmorei di epoche antecedenti. Sugli spioventi due sculture arcaiche raffiguranti leoni, resti probabilmente di un protiro, e due palle su sostegni piramidali in mattoni e pietra.
INTERNO
Si presenta in linee molto semplici, con il soffitto a capriate, due monofore per ogni parete e un oculo sovrastante l’absidiola. Sulla destra, vicino all’entrata un’acquasantiera dalla linea semplice (1), un affresco, presumibilmente ex voto del XIV secolo; quindi, un moderno Crocifisso in ferro (2) realizzato dagli allievi di L. Paradisi, docente del Liceo Artistico Tuscia. Nella parete di fondo (3), sopra le porte che immettono nella sagrestia, due iscrizioni una in latino tratta dalla Cronaca di Matteo di Westminster, l’altra in volgare ripresa dalla Divina Commedia, ricordano l’episodio che ha reso famosa la chiesa: l’uccisione di Enrico di Cornovaglia da parte di Guido da Montfort nel 1271. L’abside è completamente affrescata: nel catino, datato 1540, compare un Noli me tangere tra i santi Andrea e Silvestro (4), nella calotta l’Eterno tra Angeli musicanti, parzialmente danneggiato in un precedente scadente restauro. L’anonimo maestro autore di questi affreschi è lo stesso che ha decorato le due cappelle dipinte di S. Maria delle Fortezze. L’affresco fu commissionato dall’arte degli Ortolani, che con la figura di Sant’Andrea vollero ricordare il S. Andrea di Pianoscarano, la prima chiesa dove sorse la loro corporazione, e con S. Silvestro quella del santo titolare della loro seconda sede. Al centro del presbiterio scende un Crocifisso ligneo (sec. XVII) (5) che una fonte non verificabile afferma provenire da S. Maria Nuova. Sulla parete sinistra, sopra l’entrata laterale si trova un pluteo in marmo con una testa maschile di profilo, parte di una colonna adattata ad acquasantiera e una lapide funeraria dell’800 (6), rimangono, inoltre, i resti di un affresco quattrocentesco con S. Giovanni Battista e s. Giovanni Evangelista e un quadro in mosaico (1981) (7) di Enzo Mattioli che raffigura l’Uccisione di Enrico di Cornovaglia. Presso l’uscita (8) si nota un altro piccolo affresco trecentesco. Gli affreschi della parete di controfacciata e della parete sinistra furono messi in luce durante i restauri della chiesa eseguiti nel 1987, come ricorda la lapide posta per l’occasione. Durante questi restauri fu rinvenuto un pregevolissimo capitello marmoreo istoriato con l’Adorazione dei Magi e firmato da Magister Guilelmus, l’opera è attualmente conservata nel Museo del Colle del Duomo.
BIBLIOGRAFIA
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